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"Le accademie scientifiche in Puglia"
di Antonio Iurilli
Professore di Letteratura Italiana - Università di Palermo
 

Vorrei avviare il mio intervento ricordando un episodio della storia culturale di Bari consumatosi pochi decenni dopo la morte di Galileo: un episodio capace di fornire una cifra (credo) emblematica della ricezione del magistero galileiano in terra pugliese, e che trova peraltro, in una specifica sezione della Mostra che ci accingiamo a inaugurare, una efficace, per quanto indiretta, documentazione.
Mi riferisco all’insegnamento svolto a Bari, negli anni Ottanta del XVII secolo, da un frate carmelitano in fuga dall’Inquisizione (cercava appunto a Bari un vascello che lo mettesse al sicuro nelle terre della Serenissima) su invito sia del patriziato cittadino, sia del locale convento dei Carmelitani: una inconsueta e inquietante (non c’è che dire) consonanza di gusti culturali fra soggetti sociali storicamente eterogenei.
Questo singolare cointeresse fra laici e religiosi nella Bari viceregnale mirava a un filosofo, il calabrese Elia Astorini, del quale l’Inquisizione non aveva apprezzato l’audace quanto ambiguo tentativo di sincretismo fra il vasto filone dell’esoterismo medievale facente capo al catalano Ramon Lull, fra la tradizione magico-naturalistica rinascimentale, e la recente esperienza intellettuale degli Investiganti napoletani, cioè della punta avanzata dello sperimentalismo galileiano nel Regno di Napoli, del cui fondatore (Tommaso Cornelio) l’Astorini si era dichiarato spregiudicatamente “nipote”.
Che, del resto, serpeggiasse nei ceti colti cittadini e tra le file degli stessi Carmelitani baresi un’inquieta sensibilità eterodossa lo dimostrano i processi subiti qualche anno prima per apostasia dallo stesso priore del convento barese dei Carmelitani, Angelo Rocco (e per questo definito “Bruno Acquavivese”), e per esercizio illecito dell’astrologia giudiziale dal barese Elia Del Re, matematico primario del re e astronomo di fama.
Per quanto confusi e spesso velleitari, sono questi i segni archetipici di una complessa, tortuosa, persino contraddittoria ricezione della rivoluzione galileiana nella Bari viceregnale, sui quali vorrei brevemente intrattenermi.
L’aver chiesto ad un eclettico come l’Astorini di tenere un ciclo di lezioni nella Basilica di S. Nicola aveva infatti, per l’intellighentia cittadina, il senso di un bisogno di integrare nella ancor viva tradizione naturalistica meridionale (in primis dellaportiana, viva anche per ragioni territoriali) i fermenti dello sperimentalismo senza traumatiche cesure, e di far confluire nel sistema gnoseologico rinascimentale (quello, per intenderci, delle topiche, delle claves, della mnemotecnica) il metodo galileiano, come se ne fosse il naturale sviluppo.
Da questo equivoco erano contagiati sia, come ho detto, gli intellettuali espressi dal patriziato cittadino, sia quelli che, indotti a frequentare Napoli per intraprendere la carriera ecclesiastica, venivano fatalmente a contatto con i gruppi intellettuali napoletani fautori della ‘modernità’: parlo degli abati, emblematiche figure di intellettuali in rapporto di perenne pendolarità fra lo sfrangiato e rischioso confine della cultura laica con quella clericalizzata.
Riflesso sociale di questa inquieta ricerca della ‘modernità’ è l’accademia, forma (come è noto) di sodalità intellettuale rilanciata dalla civiltà umanistica in opposizione alla cultura ufficiale e, forte proprio di questa storica prerogativa, rilanciata nel secolo XVII contro la clericalizzazione della cultura imposta dalla Riforma cattolica. Sintomatiche di questo atteggiamento (per così dire, eversivo) sono le stesse sfere privilegiate di pensiero che ispirano imprese e motti di questi sodalizi, fondati (spesso rifondati) nel Mezzogiorno sotto la spinta innovativa della rivoluzione scientifica. ‘Coraggiosi’ ed ‘Erranti’ si definiscono, per esempio, i baresi che si raccolgono nelle omonime consorterie fondate a metà Seicento.
Gli ‘Erranti’, in particolare, sembrano voler dichiarare una sorta di filiazione dall’Accademia del Cimento in quanto appongono alla loro impresa (rappresentata peraltro da una sfera armillare, simbolo antico di pratiche astronomiche) il gioco di parole per non errar io erro, possibile concordanza col galileiano provando e riprovando.
A fondare queste accademie sono Gaetano Tremigliozzi, medico dauno, e Nicolò Verzilli, letterato barese. La loro predilezione per le pratiche e le dispute scientifiche si pone vistosamente in antagonismo con i riti della più antica e prestigiosa accademia cittadina, quella dei Pigri, fondata dal priore di S. Nicola, Giovanni Montero, e resa di fatto longa manus dei gesuiti baresi, dedita a disimpegnate pratiche letterarie di stampo marinista o petrarchesco, tanto da essere stata a lungo governata da Sigismondo Fanelli, principe, con la silloge intitolata Gli ozi estivi, della lirica barocca locale.
Tremigliozzi, in particolare, aveva polemizzato col medico galenista Carlo Celano in nome dello sperimentalismo, pubblicando sotto pseudonimo e con falso luogo di stampa, una parodia di contenuto scientifico dei più noti Ragguagli di Parnaso di Traiano Boccalini, la Nuova Staffetta da Parnasso. Opportunamente presente nel percorso della Mostra, questo libro miscellaneo costituisce un documento significativo della ricezione galileiana nella periferia del Regno.
Nella Nuova Staffetta di Tremigliozzi figura, per esempio, un mordace sonetto rivolto contro un aristotelico pugliese, Pietro Antonio De Martino, del quale mi piace ricordare la terzina conclusiva:

Sono ognor li tuoi studi, i tuoi pensieri
di cieca antichitade, e pure vedrai
contro l’antichità nuovi guerrieri.

Quel sonetto lo aveva scritto (ed è la sua prima scrittura pubblicata) un giovane abate barese formatosi a Napoli: l’abate Giacinto Gimma.
Quando scriveva quei versi, egli aveva già conosciuto e apprezzato l’Astorini, del quale era stato peraltro allievo prediletto, e aveva consumato una lunga esperienza napoletana, diviso fra i luoghi canonici della formazione ecclesiastica e i circoli intellettuali d’avanguardia, fra la biblioteca del cardinale Brancaccio, che custodiva nientemeno i libri degli eretici, e l’Accademia degli Investiganti, punta sporgente, come ho detto, del cartesianesimo e del galileismo nel Regno.
Questo variegato curriculum, non comune nella formazione di un abate, lo aveva reso appetibile proprio a quelle accademie baresi che, irretite in pratiche letterarie ormai giudicate obsolete, miravano a darsi statuti e tematiche rinnovati in senso scientifico. Di qui l’invito rivoltogli dai Pigri baresi a farsi promotore di un rinnovamento dell’accademia, invito non a caso declinato dal Gimma, forse consapevole degli invalicabili limiti ideologici e istituzionali del sodalizio barese, in mano, come ho detto ai gesuiti. Di qui l’invito, invece accettato, a farsi "promotor-censore" di un’antica accademia calabrese, prosperata nelle terre di Campanella e di Telesio, l'Accademia degli Spensierati di Rossano, che egli, imponendo un vistoso mutamento semantico alla stessa intitolazione, rinominò ‘degli Incuriosi’, precisando che “non conveniva (cito) a tali nobili ingegni, senza curar le frutta, carpir solo i fiori di un favoloso Parnaso”.
Frattanto Gimma aveva riversato il suo sterminato accumulo di erudizione in un ambizioso progetto che pomposamente intitolò Nova Encyclopaedia sive novus doctrinarum orbis (un’opera che è di fatto un prezioso primum dell’enciclopedismo preilluministico), convinto di ridisegnare l’ordine e il rapporto epistemologico dei saperi proprio alla luce del nuovo che i novatores (fra i quali Galileo) avevano affermato. Molto opportunamente il percorso della mostra è segnato dall’esposizione di uno dei quattro ponderosi tomi dell’opera che, autografa e pressoché totalmente inedita, questa Biblioteca custodisce.
In realtà, la Nova Encyclopaedia (ma anche le altre opere di Gimma esposte, come le Dissertationes Academicae e la Fisica sotterranea) manifestano chiaramente i progressi, ma anche i limiti e gli equivoci della cultura scientifica dell’autore, e direi di gran parte della cultura scientifica del Regno che egli, fra i maggiori, rappresenta.
Quei limiti e quegli equivoci erano, del resto, già tutti nel magistero dell’Astorini, fautore (come ho detto) del rilancio secentesco dell’imponente sistema gnoseologico di Ramon Lull nel quale l’affermazione di un’episteme circolare, largamente debitrice delle topiche medievali, agiva da rassicurante metodo di riappropriazione della conoscenza in chiave esoterica, magica, orfica, pitagorica, cabbalistica, capace di integrare in un neutro sincretismo la tradizione logico-retorica del platonismo rinascimentale con le aspirazioni eversive della nuova scienza.
Nell’Enciclopedia sono davvero tante le pagine dedicate ai linguaggi allusivi e divinatori: agli emblemi, ai metemblemi, ai geroglifici, frutto di una concezione gnoseologica e cosmologica ancora a forte connotazione neoplatonica e mnemotecnica, cioè, ancora largamente vincolato all’ipoteca magico-ermetica, magico-matematica, cabbalistica, esoterica, che Gimma disinvoltamente (e forse spregiudicatamente) affianca alle pagine dedicate alle nuove “arti” (come egli le chiama), ovvero alla nuova scienza, erede legittima (a suo giudizio) della magia naturalis, secondo una linea metodologica che attraversava i territori rassicuranti delle “scienze curiose”, care alla speculazione gesuitica, e quelli insidiosi dello sperimentalismo, correndo disinvolta lungo il confine sfrangiato e rischioso fra magia e nuova scienza. Questa linea metodologica contraddistingue l’intero itinerario intellettuale dell’abate Gimma e ne connota le contraddizioni e i limiti, che sono gli stessi di altri fenomeni del tempo lungo della Rinascenza nel Mezzogiorno.
Non fu facile all’abate barese compiere questo personale itinerario verso la ‘modernità’ senza dover mettere in discussione la sua identità di chierico nel clima di forzosa clericalizzazione del Viceregno. Di quell’accidentato percorso ho colto significative tappe in alcuni degli sterminati carteggi che egli intrattenne, in particolare (e non è certo un caso) in quello che intrattenne con Antonio Vallisnieri, principe dello sperimentalismo padovano, luogo galileiano per antonomasia. Oggi alla Biblioteca dei Concordi di Rovigo, quel carteggio si offre come documento dell’aspirazione del Gimma a sdoganare la sua formazione magico-esoterica nel sistema gnoseologico dello sperimentalismo, puntando decisamente in alto.

Il tempo di cui ancora dispongo mi impedisce di documentare l’abilità con cui il grande sperimentalista patavino riuscì a frustrare le aspirazioni dell’abate regnicolo. Il quale, in una pagina quanto mai illuminante della Nova Encyclopaedia in cui delinea l’ideale corredo librario di un erudito, raccomanda di possedere nella sezione dedicata all’astronomia le opere di Copernico, Keplero, Galileo. Ma nel preambolo scrive: “Devo comunque avvertire che qui indicherò alcuni autori che risultano o condannati o sospesi nell’Indice dei libri proibiti, e perciò non possono essere detenuti né essere letti senza apposita licenza della Sacra Congregazione dell’Indice”. Quella lista inizia col nome di Galileo.

 
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Un progetto della Biblioteca Nazionale di Bari "Sagarriga Visconti Volpi"
Foto: Archivio Fotografico Fotogramma snc - Multimedia: www.tommasoilgrafico.il